venerdì 19 agosto 2016

Devils Tower Nat'l Monument

Il motel, basico, si è rivelato confortevole; ci svegliamo riposati al suono di una pioggia battente che non ci aspettavamo dato il cielo sereno di ieri sera.
Fa anche freddo e Paolo ed io, ben protetti da giacche a vento, alle sette siamo già allo store del paese.
Riforniti di biscotti, torniamo alla reception dei tre motel del paese, situata nel crocicchio centrale: un cartello avvisa di fare attenzione perché appena dietro la porta c'è un secchio che raccoglie lo sgocciolio di una crepa nel soffitto.
Sgusciamo attraverso la porta socchiusa e nel piccolo ingresso abbiamo modo di fare una piacevole colazione, che anche Isacco sperimenta poco dopo.
Tornati in camera, dato che da un paio di giorni il cruscotto dell'auto (la quale comunque funziona benissimo) segnala una necessità di revisione, (probabilmente per il cambio dell'olio), chiamiamo la Alamo: molto efficienti, ci indirizzano alla Alamo della prima città sul nostro percorso, Rapid City.

Partiamo sotto una pioggia che disturberà molto Paolo alla guida: i grossi camion provenienti in senso opposto sollevano nuvole di acqua che per un momento tolgono completamente la visuale. Sotto nuvole basse, scure e dense, attraversiamo praterie a perdita d'occhio.
Qualche raro ranch è l'unico segno di vita oltre alle mandrie dí mucche nere, a pochi cavalli e qualche gruppetto di pecore.
Poi la pioggia diminuisce e, sotto un cielo basso ed agitato, si rivela gradatamente un paesaggio molto diverso: le alte colline della prateria si rivestono di boschi sempre più fitti. Sui prati compaiono qui e là i pronghorn, specie di antilopi dal mantello dorato e bianco, bisogna fare attenzione perché non è raro che attraversino la strada.

Sostiamo a Hulett, piccolo paese in mezzo ai boschi: è molto caratteristico, con case in legno, un paio di saloon, un bel motel rustico ed un negozio-museo veramente interessante, che documenta la storia dell'interazione dei popoli nativi con i coloni provenuti da est.
Espone oggetti di ogni tipo, molti dei quali in vendita: segmenti di filo spinato, archi, frecce, fucili, abiti in pelle e perline, stoviglie, libri, vecchie fotografie, dipinti...è una miniera di ricordi.
In alto, sulle travi del soffitto in legno, c'è una collezione di cappelli, consumati, macchiati, bucati: sotto ognuno c'è il nome dell'uomo che quel cappello l'ha portato una vita intera, seguito da una frase detta da lui...sembra al primo momento solo una trovata folkloristica, invece mi rendo conto che quelle frasi riescono a raccontare quanta forza, resistenza, determinazione, costanza e senso dell'umorismo, nonché connubio di filosofia e concretezza richiedesse quella vita, durissima.
Altri cimeli documentano la vita dei nativi e i contatti, bellicosi oppure amichevoli con i coloni: una dimensione dura, da cui non era estranea la necessità di difendersi, che implicava una buona dose di aggressività, ma che contemporaneamente dava spazio alla convivialità, all'aiuto reciproco, allo spirito di appartenenza al proprio conteso.
Una durezza di vita che poteva appagare con un senso eroico della propria esistenza: coraggio e lavoro che riuscivano a conquistare una natura forte e difficile, per assicurare un futuro alla propria discendenza...vita da pionieri, che non ha bisogno di ricerca di senso.
Proseguiamo il viaggio in una natura sempre più suggestiva: il susseguirsi di colline coperte da prati verdi e foreste scure, qui e là è interrotto da improvvise scarpate di terra rossissima, da crepacci o da rocce gialle erose in strane forme.

Poi, improvvisa, ci appare la Devils Tower, che di diabolico ha solo il nome, stridente e dovuto ad un errore di traduzione: in realtà il nome nella lingua delle popolazioni locali significava "casa degli orsi", evidentemente un tempo molto più numerosi. Infatti tutte le leggende che circolano attorno a questa roccia, riguardano vicende di qualcuno inseguito da orsi che chiede aiuto a una divinità, la quale solleva la roccia, perciò gli orsi cercano invano di afferrare la preda e nel tentativo graffiano con gli unghioni tutto la parte verticale della roccia. In una delle leggende, il gruppo di ragazze salvato dalla divinità viene poi trasformato nelle stelle della costellazione delle Pleiadi.

Avvicinandoci, la roccia ci appare sempre più maestosa e grandiosa, molto più di quanto sembrava nel film "Incontri ravvicinati del terzo tipo".

Alla base della torre ci accoglie la "città" dei cani della prateria: sono deliziosi, si alzano seduti sulle zampe posteriori guardandosi in giro, portano le zampine alla bocca per rosicchiare cibo, si tuffano nelle loro tane oppure si lasciano fotografare abbastanza da vicino.
Purtroppo è vietatissimo dar da mangiare a queste bestiole.

Continuiamo in auto sulla strada che circonda la base della Tower, sempre più affascinati dalla sua imponenza. Continuiamo a scattare foto finché arriviamo al Visitor Center dove compriamo regali e cartoline e riceviamo molte informazioni sull'origine della grande roccia. Secondo la principale teoria, una eruzione ha riempito completamente un cratere la cui bocca era a filo della superficie di un altopiano. Raffreddandosi e restringendosi, la lava indurita ha creato il calco interno del cratere, mentre, insieme a fenomeni di cristallizzazione di alcune componenti, si generavano le colonne. Col tempo, poi, l'erosione ha portato via il terreno dell'altopiano, scoprendo la forma di roccia con le sue colonne, il cui andamento fa sì che la forma della Tower cambi di continuo mentre le si gira attorno.
Usciti dal Visitor Center il tempo non è buono, pioviggina anche un po', quindi decidiamo di fare il picnic in macchina e di dar tempo al vento che si leva a tratti di pulire un po' il cielo.  Poco dopo infatti, quando attacchiamo il sentiero, le gocce di pioggia lasciano il posto a raggi di sole, finché finalmente da grandi squarci blu la Tower riceve la luce necessaria a fa risaltare appieno le sue colonne.
Il sentiero è veramente bello, gira alla base della grande roccia, in mezzo ai pini, dai cui rami fluttuano nel vento strisce di stoffa colorata. Al Visitor Center ne abbiamo appreso il significato: la Tower è imponente, ma ha anche qualcosa di misterioso, mistico, che io sento distintamente e che fin dalla notte dei tempi ha attirato qui chi cercava  rifugio e consiglio; ben presto è diventato un luogo sacro, e lo è tuttora per i nativi americani che, per preghiera, appendono le strisce di stoffa colorata ai rami degli alberi e a me è facile sentire che dietro ognuna di esse ci sono i desideri, le paure, i pensieri di qualcuno.
Il credo di queste popolazioni è di essere arrivati sulla terra dalla via Lattea, e ognuno quando se ne va ritorna tra quelle stelle; è facile comprendere come in un luogo del genere possa nascere un tale credo: questa torre di roccia doveva essere incredibilmente suggestiva durante le notti stellate, stagliata sulla via Lattea, in mezzo a questi sconfinate colline boscose dove nessuna luce poteva interferire con il chiarore di quel cielo e penso che a tutt'oggi sia ancora così.
Starei ancora lungo qui, ma dobbiamo occuparci dell'auto, quindi partiamo. Verso le 5 siamo alla Alamo presso l'aeroporto di Rapid City: efficiente, l'impiegato ci indirizza ad un'officina in città proprio sulla strada che dovremo imboccare domani per  il Mount Rushmore.
L'officina è ormai chiusa, così ci dedichiamo alla ricerca dell'albergo, che troviamo subito: attirati da un furgone vintage messo in bella mostra all'entrata, ci fermiamo al Lazy U Motel: è economico e ben tenuto, la stanza pulita e comoda.

Faccio la spesa al grande supermarket al di là della strada e poi ceniamo al Colonial, un movimentato ristorante proprio accanto all'hotel.
Una volta in camera, Paolo si mette al lavoro col blog, ma la connessione che troviamo qui, come negli ultimi due alberghi, non regge il riversare delle foto, così intanto si limita a caricare il testo.





In viaggio da Broadus alla Devils Tower






Breve sosta per negozio d'arte a Hulet












Verso la Devils Tower ...




Il Devils Tower Nat'l Monument































Verso Rapid City ...